Emma Dessau Goitein, uno sguardo doloroso sul declino del mondo

di Francesco Pullia

Ebrea, cosmopolita, riottosa ad imposizioni, ferma assertrice dell’emancipazione femminile, appassionata sostenitrice delle teorie sioniste di Martin Buber e Theodor Herzl, tedesca di nascita con doppia nazionalità italiana, Emma Dessau Goitein (1877-1968) è stata un’artista di levatura europea con una poetica ben riconoscibile e una produzione interrotta bruscamente nel 1945, quando con il disegno L’angelo e la foca (carboncino su carta, 430 x 515 mm) si congeda definitivamente, a sessantotto anni, dalla propria vocazione soccombendo al tritacarne dell’angoscia.

Inaugurazione della mostra

A questa figura così sensibile, delicata, e finora troppo misconosciuta, dotata di una personalità complessa, travagliata, segnata in modo dilacerante da accadimenti privati e pubblici (le leggi razziali del 1938), è dedicata una bella mostra, dislocata a Perugia rispettivamente nelle due sedi del Museo civico di Palazzo della Penna e dell’Accademia di belle arti “Pietro Vannucci”. È stata curata da Fedora Boco, Maria Luisa Martella e Gabriella Steindler Moscati, nipote della pittrice e autrice dell’intensa biografia La mia vita incisa nell’arte (Mimesis, 2018), che hanno realizzato anche il pregevole catalogo, ricco di immagini a colori e in b/n, edito da Fabrizio Fabbri.

Nell’opera poc’anzi citata, l’ultima e, a suo modo, straziante, compaiono un angelo e una foca su uno scoglio. Il mare è alle spalle, così come il sole sul cui tramonto s’addensano nubi minacciose. L’angelo è malinconicamente chino su se stesso, le ali ricurve, a testimonianza di sconsolata indolenza, il braccio destro posato sul sinistro in segno di rassegnato abbandono. La foca guarda l’essere affranto (che reca nell’efebico viso lineamenti improntati ad autoritrattismo giovanile) con un misto di interrogazione e compassionevole empatia. È come se volesse consolarlo. A suggellare l’impianto descrittivo è un’avvolgente circolarità, l’impossibilità di uscire da un destino, per quanto inaccettabile, già scritto.

Enigma della morte, 1938, carboncino su carta

La rappresentazione rimanda ad un’altra, intitolata Enigma della morte (carboncino su carta, 400 x 490mm, 1938), di forte valenza simbolica e con chiari riferimenti autobiografici, in cui una madre viene colta nell’attimo in cui tenta di proteggere invano un piccino dalla scure della morte che, con il passo sicuro di chi ha compiuto il suo scopo, s’inoltra nell’oscurità della boscaglia.

Il 9 aprile 1914 Emma aveva perso Leonardo, il terzogenito, morto poco dopo la nascita. Nel 1904, a Bologna, era nata Fanny (1904 – 1984) e nel 1907, a Perugia, era venuto al mondo Gabor (1907 – 1983). Inutile dire che quella scomparsa aveva lasciato un solco indelebile nell’animo dell’artista. Lo attestano inequivocabilmente altri carboncini come Mio figlio (1915), Dolore materno (1915), Sogno di madre (1935).

La pittura della Dessau Goitein, come ha efficacemente scritto Maria Luisa Martella, ha il pennello intinto nell’inconscio e rivela un sapiente, meditato, originale connubio di simbolismo, art nouveau, preraffaellismo (Pietro Frenguelli da giovane, s.d., olio su tavola, 51 x 68 cm), Nazareni di Friedrich Overbeck (Bambini che suonano, 1913, olio su tela, 122 x 74,5 cm), riferimenti ebraici rielaborati (in modo particolare negli ex libris esposti all’Accademia), cupo e metafisico romanticismo alla Arnold Böcklin.

Nudo femminile di spalle, 1909, carboncino su carta,

Non a caso uno dei fiori che fa capolino nelle opere è la magnolia, tipica dell’Arts and Crafts di John Ruskin e William Morris e di un certo gusto secessionista, che unisce nella propria simbologia sensualità e paura. Ed ecco il punto: sensualità e paura. L’apice della prima si ritrova in un carboncino del 1909, Nudo femminile di spalle, di un erotismo sconvolgente, irrefrenabile, in cui il corpo sembra essere delineato da fremiti al cui richiamo appare impossibile sottrarsi. La seconda, invece, è una costante dell’intera produzione artistica: una paura intrisa di presagi che tradisce momenti salienti della biografia dell’autrice e si ritrova nella ritrattistica. Si pensi alle raffigurazioni dell’amato marito Bernardo Dessau (1863-1949), fisico, cattedratico prima Bologna, poi a Perugia, colpito dalle ignominiose leggi razziali e ammalatosi, ma anche a quelle dei figli Fanny e Gabor o a quelle femminili in cui è sempre lei ad annunciarsi dietro diverse fattezze e sembianze, con il suo sguardo direzionato altrove e le labbra mai dischiuse in sorriso, sempre percorse da mestizia.

La palla d’oro, 1932, olio su tela

L’opera più significativa, a questo proposito, è La palla d’oro, 1932, giustamente collocata a Palazzo della Penna con debito risalto, in cui a ritroso vengono ripercorse le fasi della vita. Una sfera dorata transita dalle mani di una bambina dapprima a quelle di una giovane, poi di una donna matura, infine di un’anziana. Non un sorriso, solo accorato ripiegamento. Autoritratto, olio su tela, 64 x 49,5 cm, del 1935 (che fa da contraltare all’altro autoritratto, del 1918, scelto come immagine per il manifesto della mostra e come copertina per il catalogo) e Accordando il violino, olio su tela, 105 x 80 cm, del 1941, possono essere intesi come un provvisorio commiato. Provvisorio perché da una figura come Emma è impossibile congedarsi. Il suo dolore, sfociato in dramma, è contagioso, non ci lascia, ci investe e riveste.

S. Erminio da Monteluce, 1929, acquerello su carta

Non si può, infine, non ravvisare un singolare parallelismo nel modo di riprodurre cime innevate con paesaggi sottostanti tra l’acquerello su carta, 23,5 x 33,5 cm. S.Erminio da Monteluce del 1929 e l’olio su tela, 34,5×45 cm, Paesaggio alpino del 1932 con certe tempere di Nicholas Roerich (1874-1947), esponente del simbolismo russo, teosofo, studioso di dottrine orientali. Ci riferiamo, in particolare, a opere di Roerich come Krishna del 1929,  Roccaforte dello spirito del 1932, Stella del mattino del 1932, Tibet.Himalaya del 1933 in cui incredibili tonalità riflettono stati d’animo pacificati sì ma dopo strenui combattimenti interiori, estasi sopraggiunte dopo dura ricerca. Dal paesaggismo di Emma Dessau Goitein traspare un incomprimibile anelito di quiete e insieme un velo di malinconica fissità (si osservino attentamente gli spogli alberi che primeggiano in S.Erminio da Monteluce). In Paesaggio alpino dietro l’incanto delle sagome montuose e il perfetto equilibrio, anche coloristico, tra le manifestazioni della natura si cela l’ignoto dell’infittito verde boschivo e, nel cielo, s’affacciano nubi. Sicuramente, come capita agli artisti, lo sguardo si è spinto più in là, intravedendo persecuzioni, umiliazioni, sofferenze.