Foroba Yelen. Quando un led e una vecchia bicicletta possono cambiare la vita.

di Francesco Pullia

Fino al 22 settembre è possibile visitare al Museo archeologico nazionale dell’Umbria (piazza Giordano Bruno, 10, Perugia) la mostra Luce in Africa, illuminare la vita delle comunità rurali del Mali con fotografie, filmati, diari, manufatti africani provenienti dal fondo Antinori e un lampione mobile originale proveniente dal Mali. La mostra, curata dall’architetto perugino Matteo Ferroni in collaborazione con la direttrice Luana Cenciaioli e l’architetto del Polo museale dell’Umbria Francesco Di Lorenzo, racconta l’origine e la diffusione del lampione mobile realizzato dallo stesso Ferroni per i villaggi del Mali.

Lavori agricoli

Si tratta, come afferma lo stesso Ferroni, “di uno spazio di luce per accogliere la vita di gruppo che di giorno avviene sotto l’ombra degli alberi e trasformare, in altre parole, l’ombra dell’albero in luce. Così, con una vecchia bicicletta, un LED ed una batteria di moto”, prosegue l’architetto, “ho creato il primo lampione mobile che ho cominciato a sperimentare nel villaggio dove vivevo. L’impatto, sia nella vita pratica che in quella simbolica, è stato impressionate e gli abitanti dei villaggi circostanti venivano a vedere. La notizia si è diffusa immediatamente nella regione e tanti villaggi hanno iniziato a chiedere i lampioni. Così, in accordo con la municipalità locale, ho cominciato a far replicare i lampioni dagli artigiani locali per distribuirli ai villaggi. Per poter coprire più villaggi possibile ho deciso di consegnare quattro lampioni mobili ad ogni villaggio facendoli gestire collettivamente dal villaggio stesso, introducendo, pertanto, una soluzione che nel tempo si è rivelata estremamente innovativa e funzionale rispetto alla luce pubblica convenzionale: la luce collettiva. I lampioni sono stati battezzati con il nome di Foroba Yelen che in lingua bambarà significa luce collettiva e che è diventato il nome del progetto”.

Prototipo del progetto

Dal 2010 al 2015, grazie al sostegno della Fondazione eLand creata in Svizzera da Ferroni,  sono stati fabbricati oltre cento lampioni mobili, distribuiti in venticinque villaggi della Commune Rurale de Cinzana e diventati ben presto un utensile da lavoro per i vari mestieri (il maestro, il veterinario, la levatrice…), un’equipaggiamento di strutture come fontane, mulini, orti comunitari e persino uno strumento rituale per sepolture notturne e preghiere dell’alba alla moschea del villaggio. Questi lampioni si sono dimostrati la soluzione ad oggi più economica (circa 300$) e più ecologica (12w) esistente perché, anziché un prodotto industriale, sono manufatti realizzabili localmente. La gestione collettiva consente, inoltre, di dare luce ad un villaggio con solo un piccolo pannello solare da 50 watt. Il progetto ha destato l’interesse della stampa internazionale (The Guardian, Slate USA, France Presse, La Repubblica), è stato premiato dalla Città di Barcellona nel 2012,  pubblicato dal MoMA nel 2013 ed esposto permanentemente alla Biosfera di Montreal dal 2014.
Considerate le numerose richieste giunte da ogni parte del mondo, Ferroni è adesso impegnato a preparare un manuale di autocostruzione  in inglese e francese. Gli abbiamo rivolto qualche domanda.

Come nasce il progetto?

Mi sono trasferito in Mali nel 2010 e quando ho passato la notte in un villaggio ho capito che le persone approfittavano del chiaro di luna per svolgere delle attività, soprattutto per via del clima. Da quel momento ho pensato a come poter intervenire con la luce in questa cultura della notte.

E dopo quanto ha fabbricato il primo lampione portatile?

Nel 2010 ho fatto il primo lampione mobile partendo da una bicicletta. Il disegno è venuto all’improvviso, ma come sempre, preceduto da mesi di riflessione e di lavoro.

 E gli abitanti come ti hanno accolto?

Come una cosa strana. In effetti pensandoci un lampione su una ruota di bicicletta non sembra una cosa troppo seria. Ma io sono stato sempre convinto del contrario. E per fortuna non sono stato il solo. Infatti una sera un gruppetto di bambini è venuto a chiedermi in prestito il lampione perché il veterinario era arrivato in ritardo e al buio non riuscivano ad acchiappare i polli per iniettargli l’antibiotico. È stato un evento talmente straordinario che da quella sera hanno cominciato a venire persone da tutti i villaggi della zona per vedere questa luce. Così in poche settimane ho consegnato al Municipio venti lampioni chiedendo di darne quattro per villaggio e farli gestire collettivamente. 

Collettivamente dagli abitanti del villaggio? 

Esatto. Nel villaggio si costituisce un comitato che riceve i lampioni, li noleggia, li ricarica e li ripara. I proventi vanno in una cassa comune.

Com’è nata quest’idea?

È il modo con cui i villaggi in Mali gestiscono i servizi comuni, come mulini, orti e scuole. Ho pensato che sarebbe stara un’ottima soluzione anche per l’illuminazione pubblica e in più in armonia con la loro cultura.

Quali cambiamenti ha portato nella vita della comunità?

Ha cominciato a modificare i mestieri, a partire dal veterinario di cui parlavo, fino ai maestri, alle levatrici, al mugnaio e persino al macellaio che ha cominciato ad andare di notte nei villaggi per vendere la carne.

E come è arrivato il successo internazionale?

La voce è arrivata in città e i giornalisti stranieri hanno cominciato a venire a vedere. Devo dire che sono rimasti tutti molto molto colpiti. Prima il Guardian, poi France Press che lo ha descritto come la vera soluzione al problema dell’illuminazione rurale in Africa. E per me è arrivato anche il riconoscimento professionale. Prima il premio di innovazione urbana della Città di Barcellona e poi il MoMA di New York.

Hai usato la parola innovazione. Quale è l’innovazione del suo progetto? 

Fornire luce ad un intero villaggio con un solo pannello solare. E come stimato da France Press, considerando che solo in Mali ci sono 20.000 villaggi, il risparmio energetico potenziale è immenso.

Tutto questo da un led e una bicicletta? 

Purtroppo pensiamo all’innovazione in modo tecnico. Ma sviluppare una tecnologia e applicarla sono due cose diverse. “Cosa fare” dovrebbe venire prima del “come fare”. Infatti la vera importante innovazione che ho introdotto nei villaggi del Mali è un concetto: illuminare le attività invece che gli spazi. Come dire… illuminare la lezione del maestro invece che il patio della scuola. Il “come fare”, la soluzione materiale, è stata montare un Led sopra una ruota in modo che quattro lampioni mobili possano sostituire quaranta lampioni fissi.