La musica delle immagini. Gli scatti di Guido Harari alla Galleria nazionale dell’Umbria

di Francesco Pullia

David Bowie trasognato, costellato di fantasmagorico luccichio, è tutto rivolto verso un luogo indeterminato dello spazio, come ai tempi di Ziggy Stardust. John Cage ti guarda, invece, beffardamente in faccia, davanti ad una lavagna su cui campeggia una scritta inneggiante al silenzio con, in un angolo a sinistra, il simbolo dell’anarchia. Lou Reed è un ectoplasma che appare furtivamente in un frammento di specchio. Arvo Pärt è calato estaticamente nella sacralità dei suoi tintinnabuli. Tom Waits, gigionesco, è preda di una folata che trasforma una coperta sulle spalle in un aquilone pronto a levarsi sui tetti imbruniti di un paesaggio parigino. Karlheinz Stockhausen si gira di lato tra l’attonito e il sospeso mentre Leonard Cohen, vinto da stanchezza, è rannicchiato su un tavolino di legno dagli intarsi rococò. Ennio Morricone, più che da una porta, sembra uscire da un testo di Beckett o, se si preferisce, da una delle emblematiche rappresentazioni cui ci ha abituato Renè Magritte: i suoi occhiali non hanno bisogno di volto, una partitura è trattenuta da una mano che timidamente s’affaccia.

Hannibal Peterson & Eternal

È un universo composito quello che risuona dalle immagini con cui Guido Harari ha immortalato, in pose in cui naturalezza e ricercatezza si scontornano in irripetibile essenzialità, in più di quarant’anni di appassionata attività al seguito dei protagonisti della musica, di una musica non marcata da segnature perimetriche, travalicantegeneri e definizioni.
La mostra di centodieci foto da lui immortalate, allestita a cura di Marco Pierini negli ambienti della Galleria nazionale dell’Umbria e visitabile fino al 26 agosto,  è un meritato omaggio non soltanto ad uno dei maestri dello scatto ma ad un’esperienza artistica votata all’estrapolazione (e alla traduzione in una paradossale figurazione dell’evanescenza) di ombre, impulsi, incanti sedimentati, sotto forma di note, nell’inconscio collettivo.
“Wall of sound”, come s’intitola l’esposizione, è un mosaico i cui tasselli, costituiti da cadenze e frequenze, fremono e vibrano in vitale esplosione.

Bruce Springsteen

La west coast (David Crosby, Graham Nash, Neil Young, Rickie Lee Jones, Joni Mitchell, Jackson Browne) si coniuga al minimalismo (Philip Glass, Michael Nyman), all’ambient (Brian Eno), alla world (Ravi Shankar, Nusrat Fateh Ali Khan, Lakshminarayana Shankar, Paul Simon & Ladysmith Black Mambazo, Noa, Gilberto Gil, Caetano Veloso, Compay Segundo, Madredeus), al punk (Clash), all’industriale (Devo), alla lirica (Pavarotti), al classico (Pierre Boulez, Riccardo Muti), al jazz (Pat Metheny, Miles Davis, Jan Garbarek, Al di Meola, John McLaughlin, Paco de Lucia, Keith Jarrett, Joe Zawinul, Jaco Pastorius, Wayne Shorter, Herbie Hancock, Jimmy Scott, Hannibal Lokumbe Paterson & Eternal Lokumbe), al blues (Ry Cooder, John Lee Hooker,B.B. King, Buddy Guy, Bo Diddley, Johnny Winter), al performativo (Laurie Anderson, Demetrio Stratos), al progressive (Michael Jackson,Steve Winwood, Robert Fripp, Tony Levin, Peter Gabriel), al pop (Bob Dylan, Eric Clapton, Paul McCartney, Carlos Santana, Jeff Buckley, Iggy Pop, Pink Floyd, Frank Zappa, Rod Stewart, Tom Petty, Jeff Beck, Bruce Springsteen & Clarence Clemons, Freddy Mercury, Rolling Stones, Led Zeppelin, Talking Heads, Kate Bush, Robbie Robertson, Todd Rundgren, Police, Red Hot Chili Pepper, Lenny Kravitz, Ramones, Kiss, Radiohead, Mark Knopfler), Kurt Cobain, Patti Smith, Prince), al soul (James Brown, Stevie Wonder, Ray Charles, Tina Turner), al reggae (Bob Marley), al puro rock (Chuck Berry e Jerry Lee Lewis) agli italiani Giorgio Gaber, Fabrizio De André, Pino Daniele, Conte, Vasco Rossi, Mia Martini, Vinicio Capossela.

Keith Richards

Steccati storici e generazionali sono oltrepassati e abbattuti in un’alchimia di voci e sonorità in cui convergono speranze, utopie, ascese, cadute. Lou Reed riuscì a scorgere in Guido Harari (Il Cairo, 1952) la capacità di catturare nei suoi ritratti espressioni generalmente ignorate da altri fotografi. La sua caratteristica peculiare, come si evince da questa bella rassegna, non sta tanto nella frequentazione dell’attesa quanto, al contrario, nell’istinto, decisamente raro, a sintonizzarsi rapidamente con umori e contesti per imprimere e trasmettere, in un flusso comunicativo destinato ininterrottamente ad espandersi, lampi, schegge, grumi di fugacità.