Lo stato del Mibac tra valorizzazione e tutela

di Marco Saioni

Note d’arte compie due anni. Un periodo che ha consentito di sperimentare un progetto editoriale concepito all’interno di strutture periferiche del Mibac, la Soprintendenza per l’archeologia dell’Umbria, in particolare, e in seguito il Polo museale, istituito dalla Riforma Franceschini.

La rivista  ha cercato dunque, come ci eravamo prefissati,  di fornire notizie e riflessioni utili al coinvolgimento di una comunità di cittadini. Una collettività sollecitata a riconoscere la propria identità in quel diffuso patrimonio storico- artistico e pertanto più incline ad operare per la sua conservazione. Contribuire, per quanto possibile, a stimolarne la percezione e facilitarne l’accesso è stata la linea seguita, avvalendoci di ogni fonte o notizia ritenuta adeguata allo scopo, non necessariamente desunta da contesti ministeriali.

L’attuale assetto del Ministero è oggi, in virtù del Decreto del 23 gennaio 2016, visibilmente orientato verso un’offerta culturale particolarmente incline ai modelli di mercato. L’istituzione dei Poli Museali e dei musei autonomi ha infatti impresso una decisa direzione che premia la valorizzazione a scapito della tutela. Sono infatti le strutture museali a godere di autonomia di spesa, risorse di bilancio e maggiore dotazione di personale, essendo questo in larga parte stato sottratto alle soprintendenze. Ma a condizionare l’attività dei vari direttori dei musei sono ormai i numeri, incassi e presenze, da cui il fiorire di eventi-spettacolo, spesso a basso tenore di contenuto, ma sorretti da una robusta azione comunicativa, almeno nei casi ove la consistenza di risorse lo consente.
Di contro, le attività di tutela lamentano severi deficit organizzativo-gestionali in virtù della carenza di personale e della sovrapposizione di competenze, vedi la caotica situazione degli archivi, laboratori, depositi.

Tale concezione, certamente non inedita, si basa sulla convinzione del reddito legato ai musei, che riflessioni meno superficiali hanno da tempo smentito. Neanche il Louvre, è noto, chiude in attivo i propri bilanci. I famosi musei americani non reggerebbero senza i sostanziosi contributi delle donazioni private. Le grandi mostre, neanche, e già va bene quando chiudono in pareggio. Puntare sull’effimero e la spettacolarizzazione, a scapito della conoscenza reale costituisce pertanto l’esito naturale delle attività, come già intuì diversi anni fa Salvatore Settis: La concezione della mostra come macchina acchiappaturisti è pertanto non solo culturalmente arretrata, ma corrisponde ad un calcolo economico miope; rischia di provocare improvvise accensioni d’interesse e addensamenti di visite, seguite dal deserto e dal silenzio…e di fomentare o almeno legittimare l’incultura e la diserzione delle collezioni permanenti dei musei a vantaggio delle manifestazioni effimere.[1]

In tale contesto l’istituzione di una soprintendenza unica, apparentemente felice formula di semplificazione, ha prodotto la scomparsa delle soprintendenze per l’archeologia, baluardi della tutela dai primi anni del Novecento. Uffici dalle forti specificità, cui è stato anche sottratto il rapporto inscindibile con il territorio, rappresentato dai musei di pertinenza, e annesse ad una struttura quasi sempre governata da storici dell’arte o architetti, per lo più digiuni di competenze archeologiche. Il gracile tentativo di mitigare lo stato delle cose, istituendo i capi area, si è presto rivelato per quello che era, un semplice artificio retorico.

Il depotenziamento delle Soprintendenze, ancora più evidente in settori fondamentali della memoria collettiva, quali Biblioteche e Archivi di Stato, tutti privi di autonomia di spesa e soggetti ad ulteriore crisi in virtù dei pensionamenti, riscontrano sempre più difficoltà operative e gestionali rispetto all’espletamento delle rispettive attività.
Temi questi su cui è possibile appuntare la riflessione e il confronto, ospitando contributi da chi intendesse partecipare.

Dal 1 maggio 2019 Note d’arte si avvale di un avvicendamento nella direzione, che passa al dott. Francesco Maria Pullia, responsabile dell’Uffico Stampa del Polo Museale dell’Umbria, nonché giornalista e apprezzato scrittore. A lui vanno pertanto gli auguri di buon lavoro.