Materiali sequestrati in mostra al MANU

di Paola Bonacci, Sabina Guiducci

 

Si tratta complessivamente di 31 reperti pertinenti ad un corredo funerario provenienti dall’Italia meridionale, la Magna Grecia degli antichi, che si contraddistinguono per la straordinaria bellezza e valore artistico e anche per l’ottimo stato di conservazione che lascia supporre una loro provenienza da uno “scavo” abbastanza recente, probabilmente da una tomba a camera in cui erano deposti due adulti e un infante, come provano i vasi miniaturistici.
Di seguito sono descritti i materiali esposti in mostra suddivisi per classi di appartenenza.

La plastica sepolcrale e vasi plastici

Testa femminile in terracotta

La classe è documenta da una testa di donna in terracotta dipinta con diadema e pendenti applicati a parte, anch’essi in terracotta. La scultura, di pregevole livello qualitativo e pertanto riconducibile all’elevato status sociale della defunta, si inserisce nel panorama della plastica tarantina in terracotta, che recepisce e reinterpreta con uno stile autonomo e originale gli stimoli provenienti dalla Grecia, dove già dall’epoca arcaica era invalso l’uso di sottolineare il rango del defunto con la realizzazione di monumenti sepolcrali in superficie, naìskoi in forma di piccoli templi o sèmata in forma di colonna o stele. La testa è parte di una statua funeraria fittile a tutto tondo, di quelle che solitamente erano collocate all’interno dei naìskoi, raffigurati sui coevi vasi a figure rosse.  La testa recuperata rappresenta un’importante documento della plastica tarantina, al cui contesto rinvia anche la tipologia dei gioielli delle celebri oreficerie locali; l’opera è riconducibile agli anni centrali del IV sec. a.C. La testa richiama quella conservata al Museo Archeologico di Taranto. Entrambe prodotti di officine locali, si caratterizzano per il trattamento minuto e calligrafico dei particolari, specie nella pettinatura, tipica dell’ambiente ateniese, e negli ornamenti preziosi, in contrasto con la morbidezza dei tratti del volto.

Vaso plastico policromo

Di seguito sono cinque statuine in terracotta, di tipo tanagrino, a tutto tondo, modellate a matrice a placca e foro di sfiato sulla schiena. Le statuine con sovradipinture policrome e ricco panneggio, sono diffusamente prodotte nel mondo greco e magno greco dalla seconda metà del IV sec. a.C. con destinazione sia votiva che funeraria. Colte in pose e con attributi diversi (cetra, colomba), presentano eleganti variazioni dell’abbigliamento, che risalta grazie all’accostamento di colori vivaci del chitone e dell’himàtion, e una cura minuziosa nella realizzazione dell’acconciatura, testimonianze preziose del costume e del gusto dell’epoca.
Tra i reperti recuperati vi sono tre vasi plastici e policromi: due configurati a testa femminile, sulla quale una statuina femminile si appoggia all’ansa sormontante, il terzo a con corpo ovoidale ed ansa a nastro sormontante e figura femminile all’attacco anteriore dell’ansa.

Ceramica a vernice nera con dorature

La “classe” è rappresentata da quattro vasi a vernice nera con dorature, esemplari finora unici: una lekanìs un’hydrìa, un’oinochòe e un kàntharos. La lekanìs, collegata al mundus muliebris, era utilizzata come oggetto per la toilette femminile e come dono nuziale. Gli altri vasi, invece, rimandano alla sfera domestica: sulla lekanìs e sull’hydrìa sono raffigurate scene di eroti alati, figure femminili sedute su sgabelli o conformità del terreno e accessori vari quali ventagli, corone, fili di perle, tipici del repertorio figurato della ceramica apula a figure rosse.

hydrìa a vernice nera con dorature

Particolarmente interessanti sono le scene, di ispirazione orientale, delle Grifomachie e Amazzonomachie rappresentate sul kàntharos: Amazzone e Grifo e lotta tra due Grifi.
Nei vasi si manifesta la fusione di tecniche e temi di aree culturali diverse, di chiara derivazione da modelli attici (Pittore di Meidias), macedoni e dell’Oriente persiano, rivisitati con l’originale linguaggio iconografico e simbolico magnogreco, in cui probabilmente gioca un ruolo fondamentale la città di Taranto quale primo centro di produzione ceramica nel IV sec. a.C. dopo Atene.
Le analisi archeometriche dei reperti hanno accertato che le “caratteristiche composizionali, morfologiche e strutturali  sono molto simili a quelle di vasi databili al V- IV sec. a.C., provenienti da contesti di scavo”.

Ceramica a vernice nera

La ceramica a vernice nera è caratterizzata da un rivestimento di colore nero lucente; fu prodotta in Grecia a partire dal VI sec. a.C. diffusa tra IV e I sec. a.C. in tutto il bacino occidentale del Mediterraneo. Utilizzata principalmente come ceramica da mensa, in Italia venne prodotta dalla fine del IV sec. a.C. fino alla metà del I sec. a.C. e sostituita nel corso del I sec. a.C. dalla ceramica sigillata.
Nel territorio apulo tra il V-IV sec. a.C., la vernice nera, sia d’importazione attica che di produzione locale, è ampiamente diffusa nelle colonie e nei centri indigeni, sia nei corredi funerari che in contesti abitativi e santuariali, confermando l’apertura del mondo indigeno a modelli greci.
Tra i reperti in mostra, la ceramica a vernice nera è rappresentata da un solo esemplare, un guttus, piccolo contenitore destinato a contenere profumi, datato alla fine del IV sec. a.C.

Ceramica apula a figure rosse

Nel corso del VI e del V secolo a.C. in Magna Grecia (Italia meridionale) furono molto abbondanti le importazioni di ceramica attica, ma solo a partire dalla seconda metà del V secolo a.C. si avviò una produzione di ceramica locale a figure rosse ad opera di ceramisti ateniesi trasferitisi nelle colonie greche dell’Italia meridionale. I vasi appartengono alla ceramica apula, che deriva il nome dell’antica Apulia, e che fu una delle più prolifiche scuole ceramiche italiote. La sua produzione si colloca dal 425 circa alla fine del IV secolo a.C. ed è divisa in protoapulo (425-400 a.C.); apulo antico (440-375 a.C.), medio (375-340 a. C.) e tardo (340-300 a.C.). Le botteghe magnogreche svilupparono uno stile originale, caratterizzato da una vivace policromia, producendo e decorando non solo forme vascolari derivate dalla tradizione attica ma anche vasi di tipo locale.

Piatto da pesce

I vasi di maggiore impegno sono decorati con scene di carattere funerario; seguono vasi con scene tipiche del repertorio dionisiaco ; un cratere con scena di caccia al cinghiale;  quattro vasi con teste femminili su entrambi i lati ; un piatto da pesce  e un vaso fliacico.
Sulla base delle peculiarità compositive, iconografiche e stilistiche la maggior parte dei vasi può essere attribuita alla mano del Pittore della Patera e/o alla sua cerchia.
La tipologia, la funzione ed il numero degli oggetti fanno supporre la loro appartenenza ad un unico corredo funerario composto da un nucleo familiare formato da tre persone, due adulti e un bambino, come dimostrerebbe la presenza di vasi miniaturistici.