Pop art a Perugia. In mostra opere di Andy Warhol

di Francesco Pullia

Una sala della mostra

A dieci anni di distanza dalla prima rassegna, torna a Perugia, negli spazi espositivi del Centro servizi camerali ‘Galeazzo Alessi’, in via Mazzini, 9, “Andy Warhol …in the City”. Un centinaio di opere tra grafiche, litografie, serigrafie e offset per confrontarci con il mondo di uno degli artisti più controversi e significativi del secolo scorso spentosi a 59 anni nel 1987 in seguito ad un intervento chirurgico.

Poliedrico, eccentrico, provocatore, Warhol ha liberamente transitato in diversi ambiti estetici, dalla scrittura al cinema (valgano tra tutti i 500 rulli di Screen Test, ritratti filmati di personaggi ripresi con una camera fissa per tre minuti su un fondo nero) alla musica (si pensi ai Velvet Underground, con Lou Reed, John Cale, Nico), ribaltando canoni prestabiliti e ponendo con particolare enfasi la questione della riproducibilità dell’opera e dell’estinzione della soggettività nella società dei consumi.

Percorso espositivo

La mostra, organizzata dall’agenzia Pubbliwork eventi e dall’associazione nazionale New Factory Art, propone un ampio excursus della vasta produzione dell’autore di Pittsburgh, dai primi approcci con l’arte, intorno agli otto anni, fino ai lavori più famosi affiancati da massime e aforismi, elementi aggiuntivi, tutt’altro che secondari, utili ad inquadrarne meglio la complessità dell’esperienza artistica.

E così si passa dagli adorati gatti agli space fruits al gold book fino alla serialità delle arcinote lattine Campbell’s e alle sequenze multicromatiche con Mao, Marylin e altri celebri personaggi.

Ingrid Bergman, 1983

Può sembrare un ossimoro, ma Warhol è sicuramente l’artista che con maggiore profondità ha percorso, strabordandone i confini, l’universo della superficie, le increspature della pura visibilità, estrapolando l’oggetto dalla mera quotidianità, dall’uso comune, dalla banalità più insignificante, per ostentarne aspetti intrinseci alla ripetitività, alla reiterazione mediatica.

Certo, c’è un nichilismo di fondo nella colossale messinscena da lui orchestrata ma è proprio questo l’intento precipuo del suo discorso: dimostrare la spoliazione del soggetto e il suo spaesamento in un mondo in cui tutto è mercificato, oggettivato, in cui lo spurio, la copia, come hanno magistralmente indagato e dimostrato Jean Baudrillard da un lato e Mario Perniola dall’altro, prendono il sopravvento sull’originale, lo scalzano in una riproduzione infinita, illimitata.

Marylin Monroe

Che ne è, allora, dell’arte e dell’artista – ci si chiede – una volta che la tecnica ha inficiato, ridicolizzato, nullificato l’ispirazione insieme a qualsiasi velleità auroratica? Non è forse implicito in questa drammatica rappresentazione, sia pur esposta con paradossale leggerezza, il destino dell’ essere umano, il suo venir meno in una società in cui l’umanità è resa inessenziale, superflua da ciò che l’uomo stesso ha pervicacemente voluto e imposto?
Al di là del vitalismo manifestato da Warhol, il suo è, a ben vedere, un canto di morte, un epitaffio per la natura che, tuttavia o suo malgrado, non può lasciarci indifferenti, accentuando lo squarcio sanguinante, la frattura, la disgregazione al nostro interno.
Si potrà visitare la mostra fino al 17 marzo. Catalogo a cura di Pubbliwork eventi.