Spoleto, un capitello del tempio di Giove

di Luana Cenciaioli

La scheda vuole offrire un contributo alla conoscenza delle fasi edilizie di Spoleto romana ed in particolare dell’area del foro e del Capitolium, nel I sec. a.C.

Capitello corinzio di colonna

Proveniente, da scavi in piazza del Mercato, presso la Fontana Grande, in via del palazzo dei Duchi. Rinvenuto nel 1833 insieme a due rocchi di colonne, ora nella Cappella di S. Pietro Martire nella chiesa di S. Domenico e nei sotterranei di casa Ferretti.
Conservato presso il Museo archeologico nazionale di Spoleto, nel giardino prospiciente l’ambulacro del teatro romano. Già conservato  nel Museo Civico.
Alt. m.1,10. Calcare travertinoso. Rotte le parti sporgenti delle foglie, delle elici e dell’abaco; cadute le volute. Consunto ed abraso il kalathos.

Faceva parte, insieme ad alcuni rocchi di colonne, del Capitolium, il tempio principale della città, dedicato a Giove, ubicato sull’angolo nord occidentale del foro, di cui non resta traccia visibile e datato comunemente al 100 a.C.
Il capitello, di notevole dimensioni, rientra del tipo lavorato in due pezzi di età repubblicana e conserva due corone di otto foglie d’acanto che occupano circa metà della sua altezza complessiva.
Le foglie sono larghe e ben definite, dimenticando l’aspetto arricciato di quelle del corinzio italico e  presentano una costolatura centrale verso cui convergono le nervature minori che prendono origine dai lobi laterali. L’acanto è reso con fogliette appuntite che, nel congiungersi dei lobi, formano un cerchietto seguito da un piccolo triangolo: l’ultima foglietta del lobo inferiore si unisce con la prima di quello superiore formando un cerchietto, e l’unione delle fogliette immediatamente successive forma un triangolo. Negli intervalli della seconda corona, sulla sommità mediana di quelle della prima nascono cauli leggermente obliqui con solcature parallele muniti di un piccolo orlo convesso liscio, che danno origine al calice, formato da foglie d’acanto raccolte con il margine interno articolato in piccoli lobi costolature e cerchietti. Da qui si ergono le elici e le volute a nastro con margini sporgenti: tra queste sorge un viticcio terminante con una rosetta.
Dietro la foglia centrale della seconda corona nasce una foglietta con costolatura centrale e occhielli d’unione tra i lobi, da cui si innalza lo stelo liscio che sostiene il fiore d’acanto con pigna centrale. L’abaco dai lati concavi è modanato da tondino, listello e cavetto e sotto di esso è visibile il bordo del kalathos.

Il capitello, di tipo corinzio normale, conserva una delle caratteristiche del corinzio italico, cioè l’uso di lavorare in due parti per facilitarne l’esecuzione (Pensabene 1973, p. 203) e per tale motivo  mostra affinità con esemplari di fine II-I sec. a.C. di Ostia nel tempio Tetrastilo, di Roma nel tempio B di Largo Argentina, di Cori nel tempio di Castore (Pensabene cit.  n. 198, p. 52 tavv. XVIII, LXXIX), con uno frammentario da Cittareale (Coarelli 2009, n. 69, p. 137) e in ambito locale con due capitelli di pilastro da Cascia, inediti. Ne ha però perduto alcune tipicità, quali il kalathos sommerso dall’abbondante vegetazione, le misure delle due corone d’acanto dove la prima soverchia di molto la seconda, le foglie dalle cime molto ricurve con i lobi a tre fogliette tonde che richiamano il trifoglio.
La resa delle varie parti dell’ornato risalirebbe piuttosto alla maniera espressiva del secondo triumvirato, che si manifesta nella tarda età repubblicana-inizi età augustea in monumenti romani come il Tempio di Cesare (42-29 a.C.), di Apollo sul Palatino (36-28 a.C.), la Basilica Giulia (54-46 a.C.), teatro di Marcello (Lupi 1982, n. 20, p. 16).

Il motivo del cerchietto e triangolo chiuso, formato dal congiungersi delle fogliette si afferma dalla tarda età repubblicana (Pensabene cit. p. 207) e inoltre la presenza di viticci terminanti con rosette tra le elici e le volute è riconducibile alla tipologia cosiddetta del secondo triumvirato, viticci che vengono adottati in seguito come un elemento del capitello composito (Strong – Ward-Perkins 1962, p. 14, tav. XIII b). La foglietta sopra l’acanto della seconda corona risente ancora dell’influsso ellenistico, ma si ritrova anche in esemplari in età augustea e il fiore d’acanto con pigna centrale, non è molto consueto e trova confronti con un esempio di Aquileia del Museo Archeologico di I sec. a.C. (von Hesberg 1981, p. 23 fig. 8).

Sulla base di tali dati, si può dedurre che, sebbene il capitello mostri una impostazione tipologica attardata degli inizi del I sec. a.C., ne ha perso le caratteristiche ornamentali e la presenza di elementi attestati nella fase del secondo triumvirato lo fa inquadrare nella seconda metà del I sec. a.C. probabilmente tra il 40 ed il 30 a.C., periodo in cui la città è soggetta ad un fervore edilizio, terminante con la sistemazione monumentale di età augustea del foro romano. Il capitello può quindi rientrare in un rifacimento, o in una seconda fase del capitolium, per la cui realizzazione vengono mantenute per esigenze tecniche le misure e la tipologia di lavorazione della fine II-I sec. a.C., e aggiunte gli ornati tipici del secondo triumvirato.

Il rocchio di colonna scanalata posto sotto il capitello pur rientrando nello stesso ambito cronologico non è pertinente, poiché non è lavorato sul retro, e quindi riferibile ad una semicolonna.