Il “luogo celeste” degli Etruschi strega l’Europa

di Marco Saioni

Simonetta Stopponi illustra i temi della mostra

Raccontare diciotto anni di scavo. Una lunga vicenda tesa alla ricerca di un luogo, noto alle fonti classiche, e mai confortato, fino ad ora, da oggettivi riscontri archeologici. E’il Fanum Voltumnae, sede di periodici incontri religiosi e politici per le dodici città-stato confederate. Una sorta di comunità europea, ma più identitaria e coesa. Sarà per questo che la professoressa Simonetta Stopponi, direttrice delle campagne di scavo e tenace cacciatrice di fondi ha scelto una capitale europea. Chissà se proprio dall’Etruria del VI secolo a.C. possa arrivare un messaggio attualissimo, quello di un solido e reale assetto federalista.
La mostra allestita al Musée National d’Histoire et d’Art di Lussemburgo dal titolo Le lieu céleste. Les Etrusques et leurs dieux – Le sanctuaire fédéral d’Orvieto, curata da Simonetta Stopponi e da Michel Polfer, Direttore del Museo propone un percorso tra sessanta vetrine e oltre mille oggetti, esposti per la prima volta. Le ricerche condotte in località Campo della Fiera di Orvieto hanno rivelato, come noto, una straordinaria area sacra frequentata dal VI sec. a.C. al XV secolo. Di certo, oltre alle funzioni politico-religiose, il santuario ospitava giochi e scambi commerciali, questi attestati fino ad un secolo fa, da cui il toponimo.

Articolato in sezioni, l’allestimento delinea lo svolgimento storico, il ruolo politico e il significato religioso del sito.  Dopo un’introduzione sugli Etruschi e Orvieto, si impone per rilevanza il Fanum Voltumnae, il “luogo celeste” degli Etruschi, come rivela l’iscrizione di dedica del 510 a.C. In quest’area sono stati scoperti un altare, un donario monumentale e depositi contenenti moltissimi oggetti votivi, in particolare la base di una statua con una lunga iscrizione che racconta la storia di una donna, Kanuta, dalle umili origini, divenuta sposa di un nobile locale. Da cui la sua dedica, proprio nel luogo celeste, alle divinità. Un po’come accendere un cero per grazia ricevuta.

Pubblico all’inaugurazione della mostra

Preceduta da una presentazione ufficiale in Italia, alla Camera dei Deputati, la Mostra è stata inaugurata in Lussemburgo alla presenza di autorità locali, membri del Comitato scientifico e di un vasto pubblico proveniente da Francia, Germania, Olanda, Belgio e Italia con grande risonanza nella stampa locale multilingue.
Un recente incontro con la protagonista di questo ambizioso progetto ci ha consentito di mettere a fuoco ed apprezzare meglio un evento culturale, di cui Note d’arte ha già accennato, che sta appassionando il pubblico europeo, in fila per conoscere i tratti di una civiltà le cui radici affondano in larga parte dell’Umbria.
La prima domanda che rivolgiamo a Simonetta Stopponi attiene alle fasi organizzative della mostra.

E’ noto che allestire un’esposizione di tale consistenza comporta l’impiego di altrettante energie e risorse economiche. Come sei riuscita nell’impresa?

 

La mostra nella stampa

Il progetto è stato promosso dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Orvieto, con contributi della Assicurazioni Generali e della Cassa di Risparmio di Orvieto, ma è stata soprattutto la partnership lussemburghese ad offrire il contributo più importante, a testimonianza dell’interesse per l’iniziativa.
Trattandosi di materiali di proprietà statale è stato inoltre fondamentale il coinvolgimento della Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio dell’Umbria e del Polo Museale dell’Umbria. Mi preme inoltre ricordare che alla mostra  è stato concesso l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica italiana e di Sua Altezza Reale il Granduca di Lussemburgo.

Di solito il potere attrattivo di una mostra archeologica non regge il confronto con analoghi eventi culturali che hanno per oggetto arti visive. Del resto un’epigrafe o un frammento ceramico, ancorché fondamentali, non hanno l’appeal di un polittico di Piero della Francesca. Il successo di pubblico sembra tuttavia smentire l’assunto. A cosa si deve principalmente?

Direi al fascino esercitato dagli Etruschi, popolo ritenuto ancora misterioso, e all’indubbio valore, anche estetico dei materiali proposti. Penso alle splendide ceramiche attiche, basi votive, la sequenza di teste in terracotta, gli elementi tipici del mondo femminile, quali monili in oro e ambra, contenitori per profumi. E poi la testina femminile in bronzo, piccolo capolavoro della toreutica etrusca databile al 490-480 a.C.

Il sito archeologico nei pannelli retroilluminati

Nella sezione dedicata alla Via Sacra sono mostrati altari e i frammenti di una statua greca in marmo di Paros; le decorazioni architettoniche in terracotta pertinenti ai vari edifici sacri dal VI al I sec. a.C. Del tempio C viene proposta la ricostruzione come periptero tetrastilo accanto a buccheri, bronzi, numerose ceramiche attiche ed etrusche scoperte nell’edificio, fino ad illustrare la sua fine sancita dal sacrificio della terna animale dei suovetaurilia. Chiude la prima sala l’illustrazione della strada etrusca che da Orvieto conduceva a Bolsena con i materiali provenienti dalla fontana monumentale che fiancheggiava il percorso, fra i quali una lastra fittile dipinta con figura femminile. E’inoltre indubbio il ruolo attrattivo di un allestimento che si è avvalso di splendidi pannelli retro illuminati di grande effetto scenografico, con dispositivi non frequenti in musei italiani.

Il carattere eccezionale del sito è insito nella sua lunga continuità di vita. Da “luogo celeste” al saccheggio del 241 ad opera dei Romani, fino al Tardo antico. Come hai raccontato le complesse trasformazioni avvenute in due millenni di storia?

Al tema della conquista romana di Orvieto è dedicato il passaggio dal piano espositivo inferiore a quello superiore con la ricostruzione 1:1 di un grande monumento votivo. Nella seconda sala una sezione illustra la continuità del culto nel recinto del tempio A, l’unico edificio di culto che continuò ad essere attivo in epoca romana: qui sono esposti un contenitore con più di duecento monete di bronzo e d’argento e frammenti ceramici testimonianti la devozione al dio Sabazio, che in età imperiale sostituì Dioniso/Fufluns e Libero. Si passa quindi alla domus e ai due complessi termali, l’uno di età augustea e l’altro di II sec. d.C., con l’esposizione di numerose lucerne e di uno splendido ritratto marmoreo di età adrianea, forse da identificare con quello del senatore volsiniese Pompeius Vopiscus, un Praetor Etruriae.

Busto marmoreo di età Adrianea

L’età tardo antica è documentata dai materiali trovati in un’abitazione di IV-V sec. d.C. impostata sulla distruzione delle terme e nella vicina fornace per la produzione di vetri. Nel VI sec. d.C. nel sito di Campo della Fiera si impianta un cimitero: in mostra è allestita una deposizione con il suo corredo. Nella domus sorse una chiesa paleocristiana pavimentata con mosaici a tessere bianche e nere che ha restituito frammenti scultorei di plutei di VIII-IX secolo. Viene poi presentata la chiesa di San Pietro in vetere, eretta a fine XII-inizi XIII secolo e menzionata nei documenti medievali di Orvieto come esistente nel campus nundinarum, il luogo di mercati stagionali.

Allestire un evento culturale all’estero produce ricadute positive anche nel territorio che quei materiali ha prodotto ma la domanda che molti si porranno è questa: va bene il Lussemburgo ma da noi quando?

La speranza è di portare la mostra in Italia, peraltro già richiesta da Bruxelles, Marsiglia e Monaco di Baviera. In teoria si tratta di un pacchetto già pronto e quindi di facile allestimento qualora un Museo dotato delle necessarie attrezzature espositive intendesse proporlo. Ma trovare sessanta vetrine e uno spazio adeguato sembra fuori dalla portata economica e organizzativa dei nostri istituti culturali.