La statua di Giulio III a Perugia

di Marco Saioni

La statua di Giulio III a Perugia. Dal furto del piviale alle svastiche.

Qualcuno, giocando lo scorso mese con un pennarello, ha inteso espletare le proprie deiezioni grafiche su un monumento. Probabilmente la politica c’entra poco, la croce essendo, ancorché complicata dagli uncini, alla portata del minus habens.
La statua in questione,  invisibile per effetto della sua visibilità, è un’opera giovanile dello scultore perugino Vincenzo Danti ma per una disamina esaustiva del manufatto si rimanda al saggio di Alessandro Nova contenuto nel volume I grandi bronzi del Battistero: l’arte di Vincenzo Danti, discepolo di Michelangelo, Firenze 2008.

Svastiche sul basamento della statua

Il recente episodio occorso al basamento della statua offre tuttavia l’opportunità di ricordare alcune vicende, di cui una, in particolare, generò diffusa indignazione nei primi anni del Novecento.
Il monumento, tre secoli dopo la sua realizzazione, rischiò dapprima di sparire durante la breve stagione del dominio francese. Fu il prefetto Annibale Mariotti, infatti, a scongiurare la concreta possibilità che fosse trasformato  in monete di bronzo. Era già accaduto per altre opere e per questo ne dispose in tutta fretta il trasporto in un locale del convento di San Domenico. Successivamente fu collocato nell’attuale Piazza Danti, da cui fu ancora rimosso nel 1899 per le esigenze della moderna mobilità.
Di fatto la nuova collocazione, a ridosso delle logge, non consentiva le stesse opportunità di illuminazione e visibilità. In particolare rendeva impraticabile la vista della parte posteriore del monumento, quella recante il cappuccio del piviale, la veste liturgica del Papa. Tale elemento è infatti impreziosito da un ricco ornato che simboleggia il trionfo della fede sugli eretici. Un fine lavoro di cesello noto agli storici dell’arte e a pochi altri.

Veduta posteriore della statua

L’episodio, che consente qualche nesso con l’oltraggio del pennarello, risale al 1911. Le cronache dell’epoca, siamo nella metà di febbraio, riferiscono infatti di un audace furto, avvenuto con ogni probabilità nel corso di una notte nevosa e senza luna. Dalla statua era sparito il cappuccio del piviale.
Sembra fosse un tal Peppe, personaggio noto per dare del tu al bicchiere, ad accorgersi del fatto. E’ probabile infatti che tale confidenza con il vino lo abbia indotto ad appartarsi dietro il basamento per una liberatoria pausa e che lo sguardo al cielo gli abbia rivelato un’insolita concavità nella scultura. Nessuno diede peso alle sue parole. Solo una decina di giorni dopo, il sagrestano, incaricato di accendere la lampada sopra la porta del duomo, si avvide della scomparsa. Un palese riscontro sull’invisibilità dell’evidenza e un punto a favore del motto, in vino veritas.
A sostenere la versione del poco sobrio testimone anche alcune lavoranti del laboratorio sotto le logge, le quali, tuttavia, intesero attribuire quella lacuna ad interventi di restauro.

Poiché in periodo di Carnevale, qualcuno suppose uno scherzo, ma a parte l’eccessiva durata dello stesso,  le modalità con cui fu messo a segno il colpo presupponevano una certa abilità e soprattutto la cognizione dell’ingente valore, stimato in circa 50.000 lire. Si pensi a tale proposito che il comune indennizzò con 30.00 lire i proprietari degli edifici abbattuti per costruire il Palazzo delle Poste.
Fu naturale pertanto pensare ad un furto su commissione, dato che un comune ladro non avrebbe mai potuto concepire un’azione del genere.
Il fatto scatenò una massiccia offensiva della stampa locale, in particolare dell’Unione liberale. Frattanto le indagini si appuntarono sugli ambienti antiquari, verso i quali si scagliarono gli strali di alcuni studiosi, ritenendoli i veri mandanti. A questi replicò sdegnata la categoria, pronta a giurare sul rispetto delle leggi. Il clamore accese tuttavia un faro sulla statua, finora ignorata dai perugini, ma ora incuriositi e accorsi in massa al suo cospetto. Anche l’onorevole Gallenga facendosi  interprete del comune sdegno,produsse un’ interrogazione alla Camera dei Deputati, volta a richiedere norme a tutela delle opere esposte all’aperto.

Statua bronzea di Giulio III

Il casuale ritrovamento del manufatto bronzeo, qualche giorno dopo, da parte di una guardia del dazio, alimentò altre polemiche che l’Unione liberale non mancò di ospitare, fino al ricollocamento del manufatto sulle spalle del Papa. Sarà la Democrazia, quotidiano concorrente, ad ironizzare sul
fatto, auspicando che sicuramente …da domani i perugini accorreranno ad ammirare un tesoro che non sapevano di possedere e i redattori dell’Unione trasporteranno i loro tavoli dietro la statua per non perdere un attimo della felicità di rivedere il Trionfo della fede.
Eppure, accantonati gli sfottò, è ragionevole pensare come quella “sovraesposizione mediatica” avesse indotto gli autori del furto a liberarsi della refurtiva, non essendo probabilmente in grado di gestire la cosa con la necessaria tranquillità.
La stampa aveva inoltre rivelato ai perugini l’esistenza di un’opera d’arte, contribuendo a far crescere la consapevolezza della propria eredità culturale. Un argomento che merita, ci sembra, ad un secolo di distanza, qualche riflessione.