Le tavole di Taddeo di Bartolo restituite a Gubbio

di Paola Mercurelli Salari

Il Palazzo Ducale di Gubbio si arricchisce di otto piccole tavole di Taddeo di Bartolo, parte di un complesso polittico già nella chiesa di San Domenico a Gubbio. Sui dipinti, battuti all’incanto dalla Casa d’aste Pandolfini[1] lo scorso 28 settembre, Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha inteso esercitare il diritto di prelazione, riconoscendovi un’eccezionale interesse storico-artistico e ravvisandovi un documento fondamentale per ricostruire l’importante stagione tardo-gotica nella cittadina umbra, coincidente con il consolidarsi della signoria dei Montefeltro, giunti a Gubbio nel 1384 con il conte Antonio, nonno del duca Federico.

Le otto tavole costituiscono gli scomparti superiori di una complessa macchina, verosimilmente collocata sull’altare maggiore di San Domenico da cui fu rimossa forse già attorno al 1765 con la radicale trasformazione dell’interno. Lo scomparto principale è ancora segnalato in chiesa nel 1835 da Ettore Romagnoli, che ricorda “una tavola col fondo d’oro, dipintovi la Vergine col S. Bambino in collo, e intorno una corona di piccoli angioli assai graziosi. Da piedi ha questa iscrizione: TA /DE /US / SEN / ISP / INX / IT.H / OC. / OPUS /1418[2].

Da questa breve ma efficace descrizione prende avvio la ricostruzione di una delle opere più importanti di Taddeo di Bartolo, l’artista senese documentato dal 1389, quando risulta già iscritto alla matricola dei pittori ed esegue il polittico della cappella di San Paolo a Collegalli di Montaione, e il 1422, anno in cui detta il suo testamento.
Sulla scorta del testo di Romagnoli è stato possibile riconoscere nella più importante opera tarda di Taddeo, la Madonna col Bambino del Fogg Art Museum di Cambridge (MA), lo scomparto centrale del polittico eugubino, rimosso dalla chiesa attorno al 1843 quando il pittore tedesco Anton Ramboux[3] ne esegue un disegno, oggi a Colonia, ubicandola in collezione privata a Gubbio, forsequella dei marchesi Ranghiasci

Santo Vescovo, scomparto di polittico, tempera su tavola, cm. 48 x22, 1418 ca

Nel 1908 lo storico dell’arte americano Federico Mason Perkins[4] pubblica la tavola, donata al museo da Edward W. Forbes, indicandone la provenienza dalla raccolta romana dei principi Torlonia, che nel territorio eugubino detenevano, peraltro, vaste estensioni di terreni. Nello stesso articolo dà notizia anche dei quattro pannelli con Santi, segnalandoli nella collezione Dan Fellows Plat a Englewood (New Jersej). Sono quelli poi confluiti nelle raccolte di Samuel Kress e oggi divisi tra il Memphis Brooks Museum, dove si trovano il San Giovanni Battista e del San Giacomo Maggiore, e il New Orleans Museum of Art, dove sono esposti il Santo Vescovo e la Santa Caterina d’Alessandria.
Curiosamente Perkins nel parlare dei quattro Santi ne evidenzia la provenienza da un unico polittico, sottolineando però la perdita dello scomparto centrale; mentre fu probabilmente lui a favorire la dispersione di tutte le cinque tavole sul mercato americano.

È ancora Perkins a citare, subito dopo aver ricordato la Madonna Fogg, le otto tavolette, oggi a Palazzo Ducale, come “parti laterali di un grande polittico”, indicandone la collocazione nella dimora fiorentina del conte Umberto Serristori. Questi le aveva acquisite nel 1907 all’asta romana della raccolta Nevi-Caccialupi, dove figurano anche altre opere eugubine, già in Palazzo Ranghiasci, avvalorando quindi una loro  provenienza da qui.
Di fatto, quindi, tutte le parti del polittico fin qui note sono in successione pubblicate da Perkins nella stessa sede senza esplicitamente evidenziarne l’appartenenza al medesimo complesso.
È Gail Solberg ha proporre la prima ricostruzione del polittico con la Madonna col Bambino al centro e, da sinistra, il Santo Vescovo, San Giovanni Battista, San Giacomo Maggiore e Santa Caterina d’Alessandria.

Santo Stefano, scomparto di polittico, tempera su tavola, cm. 48 x21.3, 1418 ca

Per l’identità del vescovo possono essere proposti, stante il contesto, i nomi di Ubaldo, eletto alla cattedra eugubina nel 1129, canonizzato nel 1192 e divenuto patrono della città, o di Martino di Tour, cui era intitolata la chiesa demolita nel tardo Duecento per far posto a quella di San Domenico. Le stesse identità potrebbero altrimenti valere per le due raffigurazioni di vescovi inserite tra le otto piccole tavolette, ove l’evidenza iconografica consente di riconoscere gli evangelisti Luca e Matteo, i domenicani, Pietro Martire, Tommaso d’Aquino e Ambrogio Sansedoni, il protomartire Stefano e papa Gregorio Magno.
Al complesso eugubino Gail Solberg propone di ricondurre anche il Redentore del Collegio Teutonico a Roma.
L’importante acquisizione risarcisce Gubbio, seppur in parte infinitesimale, di quanto nel tempo le è stato sottratto per arricchire musei e collezioni private italiane e straniere; un triste destino che la città ha condiviso con Palazzo Ducale, spogliato a partire dal 1631, con il passaggio prima alla famiglia fiorentina de’ Medici e poi in mani private, della quasi totalità suoi arredi, tra cui il celeberrimo Studiolo, oggi al Metropolitan Museum di New York.