Mostre in corso al Palazzo Ducale di Gubbio

di Paola Mercurelli Salari

L’autunno a Palazzo Ducale di Gubbio accoglie il visitatore con molte iniziative, che integrano la proposta permanente del museo con degli eccezionali approfondimenti sull’arte contemporanea e sul costume scenico. Fino al 7 gennaio 2018 rimarrà aperta la mostra Carlo Ramous a Gubbio, dedicata all’artista milanese al quale anche la Triennale di Milano ha appena reso omaggio con la mostra “Carlo Ramous, scultura, architettura, città”.

Il rapporto che lega Ramous (1926-2003) a Gubbio è di lunga data. Nel 1963 alla II Biennale d’Arte del Metallo presenta Personaggio e due anni dopo con Avvenimento n.1 ottiene il massimo riconoscimento. Ma è un’affinità elettiva che lo lega orgogliosamente a una città “antica e magnifica”, che lo onora ospitando tra le sue mura di pietra l’opera acquisita nel 1965 – oggi nella sezione d’arte contemporanea di Palazzo Ducale -, poi lo celebra nel 1987 con un Omaggio a Ramous curato da Vittorio Fagone in occasione della XX Biennale. A oltre cinquant’anni dall’esordio eugubino di Carlo Ramous, è la famiglia Patscheider che con Giorgio Bonomi rinsalda quest’antico legame, facendosi promotrice di una mostra che trova nella residenza federiciana la sua naturale cornice, perché proprio qui si tenne nel 1956, ad apertura della I Biennale, la “Commemorazione di Mastro Giorgio”, il geniale artista rinascimentale al quale era intitolato l’ambito premio assegnato al vincitore. Tra il giardino pensile e le austere sale del Voltone si snoda un percorso in cui opere in ferro, acciaio e bozzetti in zinco interagiscono con i loro volumi, con i loro tagli, con i loro spigoli vivi, con lo spazio in cui si inseriscono, creando una raffinata relazione tra il “pieno” delle creazioni scultoree e il “vuoto” delle sale. Qui affiora una storia secolare – quella delle prime magistrature comunali eugubine, quella del duca Federico e della sua corte – e si fonde con la contemporaneità dell’espressione artistica, offrendo un percorso di grande suggestione per il visitatore, capace di volgere al contempo lo sguardo a mosaici tardo antichi, a peducci antropomorfi romanici, a pietre serene scolpite da Francesco di Giorgio, a superfici metalliche vivificate dall’azione creatrice di Ramous.

Immagini dal terremoto in Umbria

Nel soprallogge fino al 5 novembre Gian Luca Bianco presenta Imbilico: perpetua motus terra a cura di Lorenzo Fiorucci. Imbilico è un progetto complesso che si sviluppa per fasi di ricerca ancora in essere e che ad ogni esposizione assume una forma nuova, capace di narrare sotto il profilo artistico, fotografico e installativo l’evento sismico che nel 2016 ha colpito il centro Italia.  Il progetto nasce da un’idea di Gian Luca Bianco che assieme Gian Domenico Troiano e alle musiche di Max Bernacchia, ha elaborato un proprio specifico linguaggio artistico. Imbilico è un suono, è un accento del centro Italia, è uno stato interiore di precarietà, di passaggio. Per quattro volte in Umbria Gian Luca Bianco e Gian Domenico Troiano sono venuti in contatto ravvicinato con il terremoto, con la naturale essenza del pianeta: una creatura vivente che respira e si muove. Hanno intrapreso un viaggio nelle zone colpite dal sisma per realizzare un reportage con l’obiettivo di mantenere alta l’attenzione sul dramma che ha colpito il cuore d’Italia. Il tema della precarietà è osservato dal punto di vista geografico, fisico, emotivo e intellettuale. Un terremoto è la sciagura, capace di annientare per sempre un territorio mettendolo di fronte a se stesso e alla responsabilità umana, ma diventa contemporaneamente l’opportunità per un nuovo sviluppo sostenibile. L’esposizione mira, dunque, attraverso immagini fotografiche rielaborate a collage  da Gian Luca Bianco e presentate  sotto forma di installazione, a documentare gli effetti distruttivi che un terremoto può provocare, ma allo stesso tempo vuol sollecitare una riflessione sulla necessità di ripensare profondamente le radici del nostro vivere, abitare e progettare nel rispetto degli uomini e dell’ambiente naturale.

Bozzetti per abiti di scena

Nel salone d’onore fino al 14 gennaio è allestita la mostra Medioevo fantastico. Gli abiti per il cinema di Danilo Donati e Gianna Gissi, realizzata con pezzi appartenenti alla collezione “Gelsi Costumi d’Arte”.  Sono esposti alcuni degli abiti ideati da Gianna Gissi per il film Bertoldo, Bertoldino e Cacasenno (1984) di Mario Monicelli e da Danilo Donati per La cintura di castità (1967) di Pasquale Festa Campanile.
Studio dell’epoca e impatto visivo dei costumi sono i capisaldi del lavoro di Gianna Gissi; princìpi che trovano applicazione negli stupendi abiti creati per raccontare le goffe disavventure di Bertoldo, Marcolfa, Bertoldino e Cacasenno alle prese con il re Alboino. I vestiti, indossati da interpreti tra i più amati del cinema italiano, quali Alberto Sordi, Ugo Tognazzi e Lello Arena, riflettono non solo l’immaginaria ambientazione medievale nella quale sono calati i protagonisti, ma esibiscono anche la contrapposizione tra il pomposo mondo dei cortigiani e quello semplice dei contadini. Danilo Donati crea dei “sognanti costumi” per La cintura di castità, una vicenda comico-amorosa ambientata durante le crociate, che vede protagonisti Boccadoro (Monica Vitti), il cavaliere Guerrando (Tony Curtis) e il Sultano Ibn-El-Rashid (Hugh Griffith), sfondo perfetto per un’artista come Donati, creatore di abiti curati, eleganti e di grande effetto scenico.