Un giallo irrisolto al Museo. La moneta scomparsa di Licinia Eudoxia

di Marco Saioni

Con la nota del 19 luglio 1907, indirizzata al vice direttore del Museo etrusco romano, Favorino Fiumi, il Rettore dell’Università perugina, Icilio Tarducci, rende ufficiale la notizia[1]. L’atto conferisce infatti uno specifico incarico volto ad accertare se una rarissima moneta d’oro fosse davvero scomparsa dal Museo.
La notizia, sebbene imprecisa, era del resto già filtrata e riportata dalla stampa, da cui l’intervento obbligato delle autorità.
Si trattava di una moneta d’oro con l’effige dell’imperatrice Licinia Eudoxia, acquistata nel 1881 dall’allora direttore Giovan Battista Rossi Scotti. Un oggetto di notevole rarità, assente persino nel ricco medagliere vaticano ma posseduta dal Gabinetto Nazionale di Parigi, pure recando, secondo Rossi Scotti, qualche difformità di conio.
Le ricerche coinvolsero anche il professor Giuseppe Bellucci, incaricato del riordino delle collezioni museali, ma la minuziosa verifica che seguì confermò la scomparsa della moneta.

L’incresciosa constatazione obbligò di fatto l’Università, proprietaria del Museo, insieme al Comune, di istituire una commissione allo scopo di accertare i fatti. I lavori della stessa si conclusero con una dettagliata relazione[2], che non approdò a nulla, salvo ritenere che la scomparsa fosse da situare in un periodo compreso tra il 1881 e il 1895. Un arco temporale che rendeva impossibile ogni ricerca e addirittura risibile la conseguente denuncia all’autorità inoltrata nel 1907. La commissione rileva inoltre, mettendo il dito sulla piaga, la mancanza di un catalogo descrittivo. In particolare si fa menzione a proposito della collezione numismatica, dell’esistenza di un mero elenco numerico, senza alcuna descrizione. Una situazione ideale per chi, conoscendo il valore di una moneta, poteva tranquillamente sostituirla con un’altra, di scarso valore, lasciando invariata la consistenza della raccolta. E un sospetto del genere viene evocato, seppure con estrema cautela. Del resto il successivo passaggio logico avrebbe messo sotto accusa i pochi eruditi gravitanti a vario titolo intorno al Museo.

Le carte raccontano di una moneta, ben nota certamente all’acquirente, dallo stesso anche sommariamente descritta nel 1881[3], oltre che al professor Angelo Lupattelli, il quale la cita in una sua pubblicazione del 1882[4]. Egli, interrogato dalla commissione, asserì di averla vista solo una volta, poiché mostratagli dal Rossi Scotti al momento dell’acquisto.
Da allora nessuno se ne occupò più, fino al 1907, quando Lupattelli dà alle stampe una nuova pubblicazione sul Museo, senza riportare la rarità numismatica di cui aveva precedentemente riferito. La cosa attrasse l’attenzione di Gianfrancesco Cipriani, docente universitario alla facoltà di Giurisprudenza, il quale non mancò di riferire i suoi sospetti sul possibile trafugamento.

Certo la notizia, ormai di dominio pubblicò, suscitò reazioni e accuse di incuria nella gestione del patrimonio culturale, di cui il quotidiano l’Unione Liberale dette conto. A farne le spese fu soprattutto l’Università, punzecchiata in particolare dal consigliere comunale Gallenga Stuart,[5] il quale ipotizzò quanto meno una strategia volta a coprire il fatto. In effetti le sue argomentazioni non appaiono peregrine nel rilevare che dall’attenta revisione dei materiali, di cui fu incaricato il professor Bellucci, già nel 1904, non risultò alcuna irregolarità.
Un sospetto che induce a supporre il probabile atteggiamento di auto tutela messo in campo dall’Università per prendere tempo, nel tentativo di uscire in qualche modo da una scomoda posizione. Ma oltre a ciò non fu mai possibile identificare l’autore del furto, né tanto meno avere più notizie della rarissima moneta.

La documentazione disponibile riserva tuttavia una curiosa circostanza, in particolare la nota del 27.11.1907,[6] firmata dal vice direttore del museo, Fiumi. Il funzionario informa il rettore sulle ricerche effettuate, precisando che la moneta non era mai stata da lui vista e per farsene un’idea aveva consultato il manuale Hoepli di Francesco Gnecchi dedicato alle monete romane.

Minuta con allegata impronta della moneta

Impronta della moneta

 

 

 

 

 

Il documento reca allegato un piccolo lembo di carta sottile con impressa l’immagine della moneta. Tale tecnica per ottenere l’impronta, spesso utilizzata in quel periodo, è bene descritta dal manuale di Gnecchi, fin dalla prima edizione del 1896. Si procedeva con un foglietto quadrato e inumidito con il quale veniva avvolta la moneta. Successivamente si esercitava un’adeguata pressione in ambo i lati, fino ad ottenere una sorta di filigrana. Passando poi una polvere di grafite si otteneva un’immagine nitida e particolareggiata dell’oggetto.

Mc Clintock J. Strong J Descrizione della moneta

Esaminando  il disegno si apprezza una certa difformità rispetto al riferimento del citato manuale che tuttavia rimanda ad identica immagine pubblicata in un altro repertorio[7]. La qual cosa conforterebbe l’affermazione del Rossi Scotti sulla “varietà di conio” della moneta perugina. Ed è a lui probabilmente che va attribuita l’impronta, essendo l’unico che, a quanto risulta, ha avuto modo di studiare con cura la moneta, raffrontandola con altre simili. Una sorta di identikit, dunque, buono per eventuali ricerche a 120 anni dalla sua scomparsa.